Archivi del mese: Novembre 2018

Il mio nemico numero uno nel mondo del teatro in Sardegna (di Andrea Ibba Monni)

Voglio condividere con voi un segreto che mi porto dentro da parecchio tempo perché non ce la faccio più. Ho passato tanti troppi anni nel mondo del teatro a lottare e combattere e difendermi e contrattaccare con le unghie e con i denti: ho speso tante energie per battaglie a volte vinte e altre perse.

C’è chi mi trova antipatico e chi non mi stima come professionista, c’è chi mi boicotta e chi mi odia: ce n’è per tutti i gusti e ci ho sofferto, ho perfino passato notti insonni, pianto, litigato con chi mi faceva subire uno o più di questi torti.

Poi ho capito, mi si è aperto un mondo: io sono il peggior amico di me stesso perché sì, è vero, do importanza a chi non ne ha ma nel 99% dei casi sono tutte mie fantasie.

SONO TUTTE MIE FANTASIE.

No, non sono matto (non in questo caso) è che siccome fare l’artista è una vocazione molto faticosa – devi studiare sempre e tanto e non arrivi mai – e nient’affatto remunerativa, dal momento che non hai sicurezze (a parte quelle del numero dei biglietti venduti e dagli applausi che ricevi) è facilissimo cadere in un tranello: invece che ascoltare noi stessi e costruire sopra le nostre insicurezze, migliorare noi stessi, preferiamo credere che i nostri fallimenti dipendano dagli altri.

Mi hanno messo i bastoni tra le ruote più le mie paure che gli altri, più le mie insicurezze e le mie frustrazioni che le azioni altrui. Ma tutte queste cose devono solo essere un punto da cui stare lontanissimo e basta.

Ho imparato a non permettere alle paure di ostacolarmi, magari cercando alibi.

Se qualcosa va male è semplice dare la colpa a qualcun altro perché se le cose stanno così non devi discuterne, non dipende da te; più difficile è guardarsi dentro.

Ma siamo artisti: se non ci si guarda dentro è meglio cambiare mestiere.

Andrea Ibba Monni

H168: uno sguardo dal di fuori (di Giulia Maoddi)

Decido di dire la mia su H168 (clicca qui per vedere le 168 foto di scena) e lo faccio attraverso questo blog. Per chi non lo sapesse, per chi se lo fosse perso, a Settembre, alla Ferai Arts Factory è andato in scenail progetto di Ferai TeatroH168″: uno spettacolo lungo 168 ore.

Gli attori/performer dormivano là, mangiavano là, si lavavano là, insomma, vivevano là alla Factory 24 ore su 24 per 7 giorni, in continua performance.

Questo monumentale lavoro – io l’ho percepito così – è iniziato a giugno, con una riunione “di emergenza” dello Staff in cui si è proposta l’idea. Per farvi capire, il giorno stavo male, avevo la febbre e deliravo e comunque quando ho sentito dire “uno spettacolo che durerà per 168 ore”, pensavo delirassero gli altri.

Lo Staff è sempre stato libero di partecipare o meno, di far parte della sola organizzazione, essere coinvolto in tutto o fare solo lo spettacolo. Io ho deciso di far parte dell’organizzazione. Pretendo sempre il massimo da me stessa e penso di conoscere i miei limiti. Sapevo che non avrei potuto fare uno spettacolo del genere senza avere dei momenti di down. Ed un evento così non può avere momenti del genere. Non ci possono essere. Non è giusto nei confronti del pubblico, non è giusto nei confronti dei colleghi di scena e neanche nei confronti di se stessi. Sapevo che avrei retto bene l’organizzazione e così è stato. A pensarla come me ci sono stati altri miei colleghi, anche se in alcuni casi hanno fatto una scelta più sofferta della mia.

L’organizzazione è andata avanti per tutta l’estate, con riunioni che iniziavano alle 19.00 e finivano all’una di notte, due, tre, quattro volte al mese e che servivano per decidere tutto, dal coordinamento delle singole performance e degli sponsor fino al decidere cosa avrebbero mangiato e dove avrebbero dormito gli attori.  Finché non siamo giunti a Domenica 16 Settembre, il giorno in cui H168 è iniziato.

(continua dopo la foto)

Non mi interessa entrare nello specifico dello spettacolo, descrivere cos’è successo e cosa no. Sarebbe riduttivo dire che il giorno X è andato bene o male. No. Posso dire però che mi sono vissuta H168 in biglietteria e, nei pochissimi momenti liberi che avevo, anche da pubblico. Il motivo per cui stavo lì anche 18 ore, quando sarei potuta tornare a casa e riposare, è che dovevo sapere cosa sarebbe successo dopo. Dovevo vedere il momento in cui Ga’ sarebbe sceso dalle sue 24 ore in aria, l’insediamento di Sara e Raffaella, la lezione da palco di Andrea con Io Sono Bestemmia e via dicendo. Non volevo perdermi nulla.

E così come me anche il resto del pubblico. In quei sette giorni ho spesso parlato con loro e la maggior parte mi ripetevano “dovevo stare 10 minuti, sono qua da 3 ore e non riesco ad andar via” ed ancora “è un trip allucinogeno”. Ecco, sì. Sono d’accordo. H168 è stato un trip, un viaggio allucinato che ti distoglieva dalla realtà e poi ti ci ributtava dentro in un secondo.

E’ stato uno spartiacque in molti sensi, alcuni di noi si sono resi conto dei propri limiti, altri hanno trovato una forza che non pensavano di avere. Sicuramente è stata un’esperienza da vivere, da ripetere non so. Può essere. Essendoci più consapevolezza, sicuramente uscirebbe qualcosa di molto diverso. Chissà.

Una fine e un nuovo inizio (di Andrea Ibba Monni)

Nell’aprile del 2015 abbiamo deciso di aprire una nuova fase del nostro percorso artistico iniziando a lavorare su un’idea, una visione, una necessità: uno spettacolo al quale abbiamo iniziato a lavorare concretamente nel novembre di quell’anno e che poi avremmo chiamato “Cuore di Tenebra”  (clicca qui per le foto di scena)

Scrivevo a Ga’ e Federica Musio in una nota di regia in seguito alla prima prova:

Cuore di tenebra deve essere uno spettacolo nuovo sotto tantissimi punti di vista. Non è solo una necessità per il pubblico, ma anche per me da regista e soprattutto da interprete (e ho bisogno di aiuto, di occhi esterni). Novità significa sconvolgere la prassi dell’“arrangiamoci” e cercare di capire cosa vogliamo per poi, solo dopo, capire come ottenerlo. Ho immagini forti, ho necessità che ora sembrano impellenti e che solo il tempo (e voi) mi farà capire se si concretizzeranno, per ora le fisso quassù e ve le comunico. Sono cose che mi hanno spinto a scegliervi quando, a marzo 2015 vi ho proposto questo progetto. Voglio il pop, sempre di più. Voglio pop corn e coca cola, rollerblade e chewingum alla fragola, corde per saltare e tutte quelle cose che possano portarci in un purgatorio somigliante alla California […] A me viene in mente il “Death Proof” di Tarantino perché è una California dai ‘70 ai ‘90 che mi intriga… Noi tre come spiriti, ok, ma più che spiriti, tre morti, due superuomini e una superdonna: intoccabili, potenti, che incutono timore. Ho bisogno di una qualità vocale all’altezza di questa visione, una dizione perfetta (per universalizzare il parlato), una voce inattaccabile e impeccabile…perché i corpi (e quindi anche le voci) devono essere intoccabili, potenti, inarrivabili. C’è questa cosa della “potenza” che mi torna moltissimo, perché a quella vicinanza io non voglio che il pubblico si senta a proprio agio con noi là davanti. […] voglio una recitazione tecnicamente spontanea. Mi spiego meglio: la gente deve capire che nonostante la nostra ricerca dell’empatia, siamo dei draghi che recitano, come se dessimo il cuore ma in un cubo di plexiglass trasparente, come se capissero che siamo noi a tenere il coltello dalla parte del manico, mi spiego? A proposito di ciò vi prego di non affezionarvi al testo e a come l’avete sentito nel cuore mentre lo scrivevamo: portiamolo al pubblico recitandolo, non facciamo sedute dal terapeuta. Cosa intendo? C’è satanismo (sadismo, cattiveria, antipatia) oppure santità (bontà, innocenza, simpatia)… non vedo vie di mezzo, non ho bisogno di qualsiasi cosa possa stare tra questi due estremi. Perché siamo morti, non abbiamo bisogno di cercare vie di mezzo, non abbiamo nulla da perdere, neppure rivivendo certe cose che ci hanno toccato in vita.

Lo spettacolo debutta con il quasi tutto esaurito ma fin dalla prima replica il pubblico invade i teatri in cui accade “Cuore di Tenebra” e il successo è tale da farci proseguire verso la stesura di tre progetti figli: tre monologhi, tre filoni, tre spettacoli satellite. “Cuore di Tenebra” inizia mostrandoci nella quotidianità e svelando improvvisamente le nostre ferite più profonde, senza sconti, fino all’epilogo che ci vede bere un bicchiere di candeggina a testa mentre Sia intona “California Dreamin’”, struggente cover dei Mamas and Papas.

Federica Musio decide di lavorare su “My bff Annie”, uno spettacolo sui disordini alimentari per il quale decide di perdere notevolmente peso e che va in scena nel marzo 2018. In seguito Federica decide di prendere una pausa dal teatro.

Ga’ scrive e dirige il suo “Eros Nero” (clicca qui per le foto di scena) che incarna varie sessualità proibite, ostacolate e controverse per cinquanta minuti intensi, dolorosi, crudi. Lo spettacolo va in scena nell’aprile 2018.“Io sono bestemmia” (clicca qui per le foto di scena) è il mio spettacolo che debutta a marzo 2018: decido di prendere tutti i miei pezzi da “Cuore di Tenebra” e di dar loro un punto di partenza e una conclusione: perché è successo ciò che è accaduto nella mia vita e cosa è successo dopo aver bevuto il bicchiere di candeggina?

Insieme gli spettacoli “Eros Nero” e “Io sono bestemmia” vengono replicati con grandissimo successo anche nell’autunno 2018 e insieme a Ga’ decidiamo che entrambi hanno messo il punto a questo ciclo umano e professionale durato tre anni e mezzo.

Adesso abbiamo bisogno di altro, abbiamo bisogno di novità: le nostre vite private e lavorative si sono evolute e Ferai ora può contare sul lavoro di altre quattordici persone e un’altra intuizione ci porta verso una linea artistica quasi opposta a quella degli ultimi e meravigliosi tre anni e mezzo.

È presto per parlarne, è prematuro, è inutile.

Mettiamo la parola fine a questa fase di Ferai Teatro, con la speranza di replicare questi due spettacoli fuori dalla Sardegna e di concretizzare entro un anno il nuovo spettacolo della compagnia.

Le foto delle locandine di “My bff Annie”, “Eros nero” e “Io sono bestemmia” sono di Sabina Murru, quella di “Cuore di tenebra” è di Sandrino Ulleri.

Andrea Ibba Monni

L’attore nella caverna (di Ilenia Cugis)

Alcuni anni fa con Ferai Teatro partecipavamo ad un workshop tenuto a Cagliari da Eugenio Barba, fondatore e direttore dell’Odin Teatret. Nel parlare del mestiere dell’attore, tra le considerazioni che mi rimasero più impresse ricordo l’esempio della penna. Ve lo riporto di seguito, così come lo ricordo.

Ora, supponete di tenere in mano una penna. Fatelo, fate il gesto, senza avere fisicamente alcuna penna in mano. Recitate, come se la penna fosse tra le vostre dita, tra il pollice e l’indice. Poi, andare a prendere in mano una vera penna. Sentitene il peso, il modo in cui sta in equilibrio, la pressione che esercitano i vostri polpastrelli sulla penna, la sensazione della plastica al tatto, la temperatura della penna, sentite tutto.

Adesso, ripetiamo il primo esercizio: andiamo a recitare di tenere in mano una penna che non abbiamo effettivamente più in mano. Ci renderemo conto che ciò che stiamo recitando ora è molto diverso, perché nella nostra mente abbiamo impresso il peso, la temperatura, il materiale, la sensazione e il ricordo della penna che prima avevamo in mano. Allo stesso modo per poter recitare dovremo andare a ricavare nei nostri ricordi sensazioni ed esperienze vissute in prima persona e dar loro nuovamente vita.

Ricordo bene quest’esercizio perché la stessa sera mi capitò di discuterne con un’altra persona, un’aspirante attrice, che sosteneva fosse una tesi falsa. Perché secondo lei il mestiere dell’attore non è rivivere le proprie esperienze, ma fingere ciò che viene richiesto dal ruolo da recitare. Allora io le dissi:

“Ma, supponi che in scena si debba recitare un orgasmo, credi che una persona che non ha mai provato un orgasmo sarebbe in grado di recitarlo?”

“Certo, è proprio questo il tuo lavoro.”

“Ma come fai a recitare un orgasmo che non hai mai provato?”

“Perché lo sai fare, perché l’hai visto da altri.”

“Imiti ciò che, per esempio, hai visto fare nei film?”

“Esatto.”

“E pensi di recitarlo con la stessa credibilità di chi l’ha vissuto?”

“Se sono brava sì!”

Io non sono tutt’ora d’accordo. Penso che bisogna esplorare il proprio bagaglio emotivo e di vita per poter essere un attore credibile. Non dico che per poter recitare, che ne so, il dolore del lutto, uno debba aver vissuto quel lutto nello specifico, ma deve aver sofferto per qualcosa e attingere a quel ricordo per poter far vivere il dolore che deve andare a recitare. Se davvero il nostro lavoro fosse quello di fingere, imitando ciò che abbiamo visto recitare agli altri attori, saremmo tutti attori dentro una caverna. Come nel mito di Platone, saremmo rinchiusi in una caverna e guarderemmo le ombre proiettate sulla parete di pietra, considerando quella la realtà, senza renderci conto che stiamo guardando ombre, e che il mondo vero, le emozioni vere, la vera recitazione, sono fuori da questa caverna, in un mondo fatto di esperienze, di vita, di diversità, di confronti. E se noi dovessimo salire su un palco, per recitare le ombre che ci siamo esercitati ad imitare, il pubblico che ha vissuto nel mondo reale capirebbe subito che stiamo recitando ombre, che non siamo credibili, non siamo sinceri, non siamo reali, il pubblico vedrebbe subito che siamo aridi.

Sterili.

Ombre senza vita.

Ilenia Cugis