Archivi del mese: Gennaio 2019

Perché tutti, se lo vogliono, dovrebbero fare teatro (di Roberta Mossa)

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Ben 6 anni fa ho deciso di provare a fare teatro e sono ben 6 anni che rinnovo questa decisione. Un amico, un conoscente o qualunque altra persona mi dice che, forse, potrebbe pensare di iniziare a fare teatro e mi chiede un po’ come funziona, se glielo consiglio e se penso che ne sarebbe capace, visto che lo faccio da tanto tempo. A quel punto – ogni volta – sento che mi si accende una lucetta febbrile negli occhi e inizio a raccontare sempre più entusiasta di quanto sia bellissimo, fantastico, incredibile, di quanto la persona che ho davanti dovrebbe assolutamente farlo, oh mio dio ti ci vedo moltissimo, ti divertiresti un sacco con il comico, per non parlare del drammatico, ecc ecc.

La verità è che posso anche non sapere niente della persona che mi sta di fronte, potrebbe essere la persona più impacciata o emotivamente repressa del mondo, ma io penso che tutti, se lo vogliono, dovrebbero fare teatro, a prescindere dal carattere e dalla storia personale di ognuno. Lo dico con così tanto entusiasmo perché… beh, perché per me è stato importante, nonostante gli alti e bassi. È un’esperienza che può dare davvero tanto sotto molti punti di vista. Poi certo, non siamo tutti uguali, ci sono tanti elementi che influiscono, ovviamente, primi tra tutti l’interesse e la passione; conta molto anche il significato che decidi di dargli nella tua vita.

La prima volta che sono arrivata a Ferai non avevo nessun tipo di esperienza. Ricordo che Andrea Ibba Monni e Ga’ ci chiesero perché avessimo deciso di fare teatro. Io, in effetti, non ne avevo idea. Era stata una di quelle scelte che sembrano casuali e non lo sono affatto, che non sapresti giustificare a parole, ma che sono dettate dall’istinto e che proprio per questo sono più radicate dentro di te. Ho risposto che lo facevo perché ero timida e volevo superare questo mio limite. Andrea – ricordo benissimo la sua faccia tutt’a un tratto incupita – ha risposto seccamente che il teatro non serve a risolvere i propri problemi personali e che avrei dovuto abbandonare quell’idea. Inizialmente ero rimasta un po’ interdetta e avevo deciso di non dare peso a quella frase, ma in fondo si, aveva ragione, il teatro non risolve i tuoi problemi. O perlomeno, non è quello il suo scopo.

Semplicemente il teatro è entrato nella mia vita e la mia vita è entrata nel teatro. La vita e il teatro non sono due cose così tanto separate come potrebbero sembrare. Non ho risolto quello che pensavo fosse il mio problema, la timidezza. Io sono sempre la stessa, ma allo stesso tempo sono diversa. Ecco, questo è veramente difficile da spiegare.

Basta pensare anche solo all’analisi del personaggio: ricostruire storie come se fossero un puzzle, sulla base del testo, creare immagini, scoprire mondi interiori totalmente diversi dal tuo, ma che hanno molto a che fare con te. Anche quando credi che il personaggio che ti viene affidato sia distante anni luce da quello che sei. Devi scavare nelle tue esperienze personali per riuscire a capirlo, quindi a viverlo. Per esempio io non sarò mai – spero! arida come Assunta, il mio personaggio in “Maria Gratia Plena”, ma so cosa vogliano dire il risentimento e il rancore, l’ansia di perfezione, la repressione dei propri desideri che ti conduce all’apatia. Non so cosa voglia dire neanche provare una gelosia, un’invidia e un amore talmente malsani da spingerti al suicidio, come Assia Wevill nello spettacolo che stiamo allestendo su Sylvia Plath. E allora non resta che ricordare come ti sei sentito quando ti sei trovato in una situazione simile, ma più blanda, o a volte anche solo focalizzarsi su quel tipo di emozione. Tutti abbiamo sperimentato la gelosia, l’invidia, l’amore. Mi capita di provare una certa curiosità verso quello che io stessa vivo nella vita di tutti i giorni, perché se posso capirlo e analizzarlo quando capita a me, posso provare a riportarlo anche sul palco. Questo ti rende più consapevole, sicuramente, ma è una sorta di effetto collaterale. Insomma non puoi prescindere da te stesso quando cerchi di far vivere un personaggio, prova dopo prova. E infatti, se dovessi rifare uno spettacolo che ho fatto tempo fa nello stesso ruolo, sono sicura che sarebbe diverso, che avrei energie diverse, altre esperienze da cui attingere.

Il mio primo esito scenico è stato Goethe: Faust” nel 2013. Ho iniziato a costruire il mio piccolo spazio creativo al di fuori dei libroni enormi di diritto e dei problemi della vita di tutti i giorni. Era bello, era liberatorio andare alle prove e per due ore non pensare a niente, uscirne rigenerata, come se avessi fatto una lunga vacanza.

Quando qualcuno mi dice che si vergognerebbe a recitare di fronte a tante persone (“ma io non ce la farei mai, tutti quegli occhi che ti guardano, sicuramente mi blocco, farei una figura di m***!”) racconto sempre com’è andata la prima volta che sono salita sul palco, per dirgli che se ci sono riuscita io, che avrei potuto vincere “sciallissima” le Olimpiadi dell’ansia, può riuscirci anche il mio interlocutore. È andata così: insieme ad altre tre mie compagne aprivamo lo spettacolo, eravamo davanti al sipario, rivolte verso il pubblico.

Cazzo, non posso credere che me ne sto qui, davanti a una marea di persone, senza essere completamente paralizzata dall’ansia!

Sentivo solo l’adrenalina a mille e un’energia che mi scorreva dentro che non avevo mai provato prima. Era bellissimo, il pubblico non mi faceva paura, mi sembrava quasi che non ci fosse. Non sentivo sguardi ostili o giudicanti, li sentivo curiosi e interessati. Era come se la timida, la fifona Roberta in quel momento si fosse dileguata. Poi è tornata, naturalmente, non è successa nessuna magia. Però ho capito che quellaenergia particolare non l’avrei dimenticata facilmente, che l’avrei cercata sempre, come una dipendenza.

Poi potrei parlare dei momenti difficili, di tutte le esperienze che ho sentito come fallimenti. Ci sono sempre i momenti di up e i momenti di down. Quando pensi di non farcela, di non essere all’altezza, o anche semplicemente quelli in cui non hai voglia, in cui stai pensando a tutt’altro, il lavoro, lo studio, gli altri problemi. A volte pensavo no, non ce la faccio, è troppo difficile, non ho idee, so che fallirò, magari mi preparo meglio a casa e torno qui alle prove che sono capace, pronta per fare quell’esercizio o provare quella parte. Mi sono sempre sentita rispondere che l’unico vero fallimento è non fare niente, perché fare qualcosa, anche male, è sempre e comunque un inizio. Prima non ci credevo. Il momento di svolta è stato lo spettacolo del 2016 Silvery Fox”. Non saprei descrivere quello spettacolo. So solo che tutti i miei compagni erano entusiasti, non vedevano l’ora di andare alle prove, io invece ne avevo una paura fottuta ed è stato orribile, ma è proprio per questo che ha segnato un momento di svolta, forse il più importante. La vera vittoria è quando dici a te stesso “Adesso basta. Basta dire no, non ce la faccio. Vai e buttati, senza pensare, lasciati andare.”

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Roberta Mossa

RezzaMastrella chi? Dove? (di Andrea Oro)

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RezzaMastrella fuori dall’ex Divina Provvidenza a Nettuno.

Questo il brutale e secco titolo che i giornali italiani riportano in questi giorni di gennaio.

Per chi si fosse collegato solo ora RezzaMastrella è un duo teatrale, se così possiamo definirlo, tra i più importanti in Italia. Leoni d’Oro alla carriera per il Teatro 2018 , creatori di un linguaggio nuovo, del tutto personale, frutto della fusione e collaborazione fra Antonio Rezza – performer attore e autore e Flavia Mastrella – autrice, scultrice e scenografa.

Antonio Rezza è “l’artista che fonde totalmente, in un solo corpo, le due distinzioni di attore e performer, distinzioni che grazie a lui perdono ogni barriera, creando una modalità dello stare in scena unica, per estro e a tratti per pura, folle e lucida genialità. Flavia Mastrella è l’artista che crea habitat e spazi scenici che sono forme d’arte che a sua volta Rezza abita e devasta con la sua strepitosa adesione; spazi che abita e al tempo stesso scardina, spazi che diventano oggetti che ispirano vicende e prendono vita grazia alla forza performativa del corpo e della voce di Rezza. Da questo connubio sono nati spettacoli assolutamente innovativi dal punto di vista del linguaggio teatrale.” (dalla motivazione)

Spettacoli come Pitecus (1995), 7-14-21-28 (2009), Fratto X (2012), Anelante (2015) e non solo.

Capaci di tirar fuori dal cilindro (fra gli altri) un lungometraggio lunare e completamente al di fuori dalla tradizione cinematografica italiana, Escoriandoli (1996) o capaci di sbarcare recentemente in Tv con La tegola e il caso- Quando la scena è servita (2018) in cui hanno realmente portato il Teatro e l’arte performativa nelle case degli italiani, entrando fisicamente nei salotti di un pugno di fortunate famiglie per mettere in piedi – ed in scena- dei corti tratti dai loro spettacoli più famosi e adattandoli sul momento allo spazio domestico.

Un Teatro realmente nuovo ed un linguaggio completamente personale uniti ad un gusto per la satira più tagliente e sferzante, con un filo rosso che lega le loro prime produzioni nei centri sociali a quelle ultime in giro per i maggiori teatri stabili italiani; la critica al Potere.

E sarà forse per questo loro continuo sferzare, scucire e sfilare le trame più ipocrite e ridicole del Potere che ora, il potere politico, pare non interessarsi alla loro vicenda.

Il Comune di Nettuno ha infatti stabilito che lo spazio in cui provano, montano e confezionano i loro spettacoli dal 1985, l’Ex Divina Provvidenza di Nettuno, ex ospedale da anni ormai patria di artisti, laboratori artistici, cultura e teatro (in tutti i sensi) dell’attività di RezzaMastrella debba essere chiuso e sgomberato per problemi di agibilità. Sfrattati dalla loro casa a suon di carte bollate e senza un piano di ristrutturazione da parte del Comune (gestito dal 2016 dal commissario prefettizio e viceprefetto Bruno Sarti) .

L’Associazione culturale Ibis Onlus, la compagnia teatrale RezzaMastrella, il laboratorio ceramico Gatti – Silvestri, comunicano agli organi di stampa quanto segue:

Ottemperando alla ordinanza dirigenziale n373 del 16 ottobre abbiamo provveduto a far periziare i locali in cui si svolgono le nostre attività da parte di un ingegnere iscritto all’altro ed esperto di sicurezza.
Dalla relazione da lui prodotta e inoltrata al commissario Bruno Strati non si evidenziano situazioni tali da giustificare lo sgombero. Contestualmente abbiamo chiesto un incontro con il commissario per dettagliare meglio il documento trasmesso e cercare di trovare una soluzione tra le parti.
Non essendo pervenuto nessun riscontro alla nostra proposta abbiamo provveduto tramite nostro legale a rivolgerci al Tar del Lazio per ottenere la sospensiva dell’atto di sgombero. Pertanto oggi ci rivolgiamo a tutte le realtà sociali, culturali e politiche del territorio perché si pronuncino sulla destinazione d’uso della Divina provvidenza“

In tutto questo una domanda sorge spontanea; la Politica che fine ha fatto? In questi anni abbiamo sentito parlare i nostri politici di cambiamento, di rivoluzione, di stravolgimenti epocali. Ma carta canta, e le carte bollate hanno una voce particolarmente possente, e fin’ora siamo alle solite. Siamo ai soliti sgomberi di centri sociali, di stabili e Teatri occupati , siamo di fronte alla polizia con cani antidroga all’ingresso delle scuole superiori, siamo soprattutto di fronte ad un silenzio di marmo da parte della Politica nazionale, quella che conta. Forse troppo impegnata negli ultimi tempi a prendersi cura in modo “magistrale” di migranti, condoni edilizi e fiscali, regali salvataggi (scusate) a banche e banchieri, leggi su legittima difesa e dichiarazioni spericolate fatte all’interno di piste da sci, magari vestiti con una bella giacca da poliziotto o da pompiere, che fa tanto bene alla comunicazione e signora mia lei lo sa quanto la comunicazione sia importante di questi tempi.

Un nostro ex ministro una volta disse improvvidamente che con la Cultura non si mangia. Aveva ragione. Sui nostri quotidiani pullula di buoni consigli ai nostri giovani, “studiate Economia, non Arte!”

Ecco forse come interpretare lo sgombero (per ora solo minacciato) dell’ex Divina Provvidenza, un buon consiglio ai nostri giovani. Un colpire uno per educarne chissà quanti.

Vedete ragazzi? Con la Cultura non solo non si mangia, ma pure se doveste riuscire a mangiare qualcosa, e magari facendolo portate anche qualche pezzo di bellezza in più al nostro paese, beh, chi se ne frega? Noi vi sgomberiamo a suon di carte bollate. Tanto a nessuno importa di voi.

Dovevate studiare altro, ve lo dicevamo.

Andrea Oro

Visual effects (di Ilenia Cugis)

DISCLAIMER: questo articolo è dedicato principalmente a quel ramo di attori che si occupa di cinema, non offendiamoci noi altri.

Nel corso dei secoli, secondo me, il mestiere dell’attore (di cinema ho detto) è diventato sempre più difficile, ma ultimamente è diventato impossibile. E le persone dicono “va beh son tutti effetti speciali”.

APPUNTO perché sono tutti effetti speciali, è diventato impossibile.

Cioè, ma voi vi immaginate che caz*o deve essere recitare con addosso una tutina con sensori e cavetti attaccati, in un set enorme, rettangolare, tutto di colore verde acido. Intorno a te non hai riferimenti, sei vestito come un cretino, senza alcuno stimolo esterno, e devi recitare: devi dare anima al tuo personaggio, e devi farlo andando a scovare una profonda concentrazione e solitudine interiore. C’è la troupe che ti fissa ma per te non deve esistere nessuno, devi immaginarti la situazione, il luogo, ciò che accade intorno a te: te lo devi immaginare tu perché non hai riferimenti e non lo sai, non lo sai mica, come sarà il risultato finale.

Che poi il risultato finale è una figata. Ma tu non lo sai. Devi fidarti. Roba da fuori di testa.

Ilenia Cugis

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Silvery Fox Factory

Il 2019 sarà un anno di grandi lavori e tante novità per Ferai Teatro. La prima riguarda la dedica dello spazio al regista sardo Pierfranco Zappareddu (ne abbiamo scritto qui) scomparso il 6 gennaio 2014: la Silvery Fox Factory (dallo spettacolo a lui dedicato “Silvery Fox”), capannone industriale di 300mq in via Dolcetta 12 a Cagliari in cui si svolgono i nostri numerosi laboratori, le prove dei nostri spettacoli, corsi e workshop, mostre, concerti ed eventi teatrali e artistici in generale.
Un atto simbolico e sicuramente piccolo rispetto al segno lasciato da Zappareddu nel mondo del teatro dell’isola e non solo.

Lo spazio in cui lavoriamo dal 2016 e che in precedenza chiamavamo Ferai Arts Factory ha già ospitato moltissimi eventi e si presenta rinnovato e pronto ad accogliere le numerose produzioni dei prossimi 12 mesi.

-Staff-